DISCLAIMER: POST LUNGO E PERVICACEMENTE POLEMICO.
Ieri hanno rubato lo smartphone a mia figlia.
Già questo basta a definire quanto adesso possa essere incazzato col mondo. Ma non è tutto, è solo l’inizio.
E’ andata così: la fanciulla dopo la scuola si reca in un ristorante di una nota catena americana con le sue amiche. Incautamente, conversando, posa il cellulare (di nota marca americana), sul tavolo. E questo è un errore tutto suo per il quale è stata prontamente redarguita.
Ad un certo punto si appropinquano due lestofanti, travestiti da non lestofanti (lo fanno, ahime). Posano una cartina (nel senso di cartina stradale) sul tavolo, coprendo lo smartphone di nota marca, e cominciano a distrarre le ragazze con frasi incomprensibili in una lingua sconosciuta (riporto i fatti come mi sono stati raccontati). Dopo di che con rapida mossa si allontanano, portandosi via la cartina e lo smartphone. Tutti avviene in pochissimo tempo, meno di un minuto
L’amica di mia figlia l’avverte: “guarda che ti stanno rubando il cellulare”, ma il tempo di metabolizzare cosa sta succedendo e i due si sono dileguati.
La fanciulla prova a vedere dove sono e dove vanno, ma sono già spariti.
Quindi si rivolge ai dipendenti del ristorante, la cui risposta è, più o meno, “non ci possiamo fare niente, fai la denuncia” (non so, mi viene da pensare che non sia la prima volta).
Superato lo shock, con il cellulare di una delle sue amiche (che essendo una sottomarca non è stato oggetto delle attenzioni dei ladri) mi chiama e mi informa dell’accaduto.
La raggiungo sul luogo del misfatto appena possibile (ero al lavoro, ci è voluto un po’, anche perché il luogo del misfatto è in area C ed ho dovuto abbandonare la macchina e prendere i mezzi).
Appena arrivato provo a parlare con qualcuno nella sicurezza del locale. Mi si presenta davanti un ragazzetto che, con l’aria di uno che spera di non essere lui quello chiamato a dover rispondere, alla mia domanda su come sia possibile che in un locale come quello succedano queste cose, mi ripete che non ci può fare nulla, dobbiamo fare la denuncia. Graziarcazzo.
Fine della prima parte. Il seguito è ancora peggiore ed è quello che mi ha veramente rovinato la giornata.
Salutiamo le amiche della figlia e di rechiamo a fare la denuncia.
C’è una caserma dei carabinieri a meno di 300 metri in linea d’aria.
Dopo un po’ di attesa (meno del temuto), ci accoglie un luogotenente dell’arma, che per motivi di privacy da questo punto il poi chiamerò il Maresciallo Catarella.
Il Maresciallo Catarella scrive la sua denuncia al computer, utilizzando non più di tre dita. Scrive la classica denuncia nel classico italiano da denuncia, ma questo non è una sorpresa. Ahimé ci sono già passato.
Non manca, il Maresciallo Catarella, di evidenziare più volte che “la denunciante in epigrafe” è caduta in errore in quanto avrebbe dovuto prontamente chiamare il 112, al ché una volante si sarebbe presentata, appunto, al volo, per sventare l’odioso crimine.
Lo evidenzia anche nel verbale, giusto per non sbagliarsi.
Non sorvolo sul fatto che durante la descrizione dei fatti il Maresciallo Catarella dà segni di non sapere dove si trovi il noto ristorante della nota catena americana, che pure si trova a meno di 300 metri in linea d’aria e quindi certamente all’interno del territorio della caserma in cui stiamo sporgendo denuncia. Magari è semplicemente vegano, tutto può essere.
Sempre all’interno della conversazione atta a rilevare l’accaduto, quando gli diciamo che fino a poco prima lo smartphone era ancora localizzabile con i nostri potenti mezzi informatici, il Maresciallo Catarella si mostra dapprima stupito del fatto che possiamo fare questa cosa, e poi, quando gli precisiamo che però la localizzazione era ferma al momento immediatamente successivo al furto, ci spiega che evidentemente i malfattori avevano provveduto a rimuovere la batteria.
Ci vogliono alcuni minuti per spiegare al Maresciallo Catarella che gli smartphone della nota marca americana non hanno uno sportellino apribile per rimuovere la batteria (ho dovuto mostrare anche il mio, che è un modello più obsoleto ma della stessa marca), ma alla fine si fa convinto e, diciamolo, ne è valsa la pena.
Chiedo al Maresciallo Catarella rassicurazioni sul fatto che verrà fatto un tentativo in tempi brevi di accedere alle riprese che sicuramente sono state fatte dalle telecamere di sicurezza del ristorante, per individuare i delinquenti ed assicurarli alla giustizia. Dopo un po’ di stupore sulla mia ipotesi che effettivamente esistano telecamere (cosa su cui ho però la conferma dal ragazzetto della sicurezza), il Maresciallo Catarella mi risponde che anche se andassero a vedere le riprese, non è assolutamente scontato che i due ribaldi siano riconoscibili, o che loro siano in grado di identificarli. Interpreto la sua risposta come un “corcazzo, aspetta e spera”, e glisso sull’argomento per non fare polemica.
INTERMEZZO DI DIVERTENZA: nel mentre che mia figlia spiega l’accaduto, una persona bussa alla porta e chiede al Maresciallo Catarella se in quell’ufficio c’è un estintore (intuizione mia, deve fare la verifica semestrale). Il Maresciallo risponde che non ha idea se ci sia un estintore o meno.
SPOILER: l’estintore c’è, è in un angolo (gli estintori amano mettersi negli angoli) dietro alla scrivania di fronte a quella del Maresciallo.
RIPRENDIAMO:
Onde agevolare la corretta identificazione della refurtiva, accedo quindi al computer della figlia, per risalire al numero di serie e al codice IMEI. Il Maresciallo Catarella ritiene di inserire nella denuncia solo il codice IMEI, ma tant’è, chi sono per mettere in discussione le scelte investigative di un Luogotenente Maresciallo dei Carabinieri?.
Fatto sta che già che ci sono provo a vedere se la localizzazione dello smartphone è cambiata, tentare non costa nulla, e sorpresa delle sorprese, il computer mi dice che non più di due minuti prima lo smartphone era stato localizzato in un certo posto, a pochi chilometri da lì.
Comunico la ferale notizia al Maresciallo Catarella, nella speranza che possa servire a attivare un qualche tipo di intervento, e lui mi guarda e mi dice che non può fare niente e, per altro, con un sottile gioco di parole, mi fa capire di non avere idea di dove si trovi quel posto, che pure non è lontano. Glie lo mostro sulla mappa.
Chiedo se non si può per caso mandare una volante, ma la risposta è negativa. Però, mi dice il Maresciallo Catarella, se voglio posso provare a chiamare il 112 (Il 112 deve essere la sua passione, penso).
Lo faccio, in vivavoce. Dopo circa 5 minuti finalmente riesco a parlare con un altro rappresentante dell’arma, al quale spiego la situazione, che c’è stato un furto, che sono in una caserma a fare la denuncia, di fronte a un suo collega (Il Maresciallo Catarella si identifica), che in quel momento la refurtiva è localizzabile e si trova in un determinato luogo e chiedo se possono intervenire.
La risposta è negativa, non possono. Ma – mi suggerisce il rappresentante delle forze dell’ordine – dato che so dove si trova lo smartphone rubato, potrei recarmi io lì, identificare la refurtiva e solo in quel momento richiamare il 112, fiducioso in un loro pronto intervento.
Sorvolo sul tenore della risposta ricevuta dall’uomo della volante, cui evito per carità di patria di chiedere se, in attesa del loro arrivo, avrei anche dovuto procedere io all’arresto dei malviventi per evitarne la fuga.
Rispondo che per ovvi motivi, tra cui quello di essere a piedi in Area C, il suo suggerimento mi pare inapplicabile (per non parlare del fatto che io NON FACCIO PARTE DELLE FORZE DELL’ORDINE) , e chiudiamo la conversazione.
Non manco di fare notare al Maresciallo Catarella che, dati i tempi di attesa al telefono cui lui stesso ha assistito, forse ma forse se anche mia figlia avesse avuto la prontezza di chiamare il 112 appena accortasi del furto, non sarebbe cambiato niente.
Il Maresciallo Catarella mi risponde che i tempi di attesa al 112 sono lunghi perché da quando hanno fatto il numero unico d’emergenza arrivano troppe chiamate di tutti i tipi e glissa amabilmente su tutto il resto.
A questo punto concludiamo la stesura del verbale, firmiamo, salutiamo e una volta fuori dalla caserma prorompo in una serie di bestemmie che probabilmente ha scrostato i muri dell’ufficio del Maresciallo. Il quale non se ne sarà accorto, intento a chiedersi cosa ci faccia lì dentro una estintore. Nell’angolo, per giunta.
Mi piacerebbe poter dire che si tratta di un racconto romanzato, ma purtroppo è tutto vero e se il tono vi pare fin troppo canzonatorio, sappiate che ho impiegato parecchio tempo a togliere dalla prima stesura di questo post tutte le imprecazioni verso le istituzioni laiche e religiose di questo paese. Alla fine tocca riderci sopra, in fondo non si è fatto male nessuno e questo è quello che conta.
Lo smartphone si ricompra. Rinunceremo a qualcos’altro e via.
Ma quello che non fa ridere è il fatto che ancora una volta, uscendo da una caserma in cui mi sono recato per denunciare un crimine subito, ho avuto la chiara percezione che la denuncia non servirà a niente e che nulla succederà, se non aver aggiunto un infinitesimale punto in più in qualche statistica. A meno che uno non sia, per lo meno, il cugino di secondo grado di un qualche sottosegretario (sì, lo so, questo è qualunquismo gratuito, ma non me ne frega una beata minchia).
D’altronde sto ancora aspettando gli esiti della denuncia fatta quando mi hanno rubato la blcicletta, negli anni ’80, o di quella fatta quando mi hanno vandalizzato la macchina nei ’90, o di quando mi hanno rubato l’autoradio nei primi 2000, o di quando mi hanno rubato il borsello nel 2006 (se siete curiosi, dato che ai tempo avevo già un blog, ci sono due link, qui e qui).